lunedì 25 gennaio 2016

MIES VAN DER RHOE, LO SPAZIO FLUIDO E LA PERCEZIONE DEL PAESAGGIO.


Nato ad Aquisgrana nel 1886, a vent’anni si trasferisce a Berlino dove trascorre gli anni della formazione. Negli ambienti  che frequenta in quegli anni era impossibile per Mies sottrarsi alle influenze della cultura espressionista, anche se nelle sue prime biografie, che lui controlla attentamente, ci tiene a sottolineare la sua lontananza da qualsiasi passione espressionista, le sue prime opere ne dimostrano evidentemente la vicinanza. All'espressionismo si avvicina affascinato dalle strutture dei cristalli e dalle opportunità che offre uno dei nuovi materiali dell’architettura: il vetro.

Luce e ombra, profondità e smaterializzazione, in questo tutta la forza di una delle sue prime architetture: il grattacielo sulla Friedrifhstrabe a Berlino (1921). L’edificio è a pianta triangolare, vicino alle forme dei cristalli di  Bruno Taut, e il suo carattere è tutto basato sull’importanza costruttiva attribuita a luci e riflessi, e alla tenebrosa e inquietante scenografia che riflette la città che lo circonda.
grattacielo-friedrichstrabe-berlino
L’interesse verso il problema  della percezione e l’espressività dei nuovi materiali non verrà mai abbandonato da Mies, ma l’atteggiamento inquieto cambierà e verrà totalmente rovesciato: da oggi in poi Mies cercherà un nuovo ordine, e più avanti nel 1938 dichiarerà questo intento durante un’ incontro all’Insitute of Technology  : “ Porremo l’attenzione su un principio organico di ordine come mezzo per conseguire la più perfetta relazione tra le parti e il tutto….La lunga strada del materiale, attraverso la funzione, fino all’opera creativa ha un unico scopo creare l’ordine traendolo dal caos disperato del nostro tempo.”
Mies fa un salto rispetto alle proposte dei suoi contemporanei, cerca di allontanare la produzione architettonica dall’espressione personale per spostare la sua ricerca sulla definizione di quegli elementi che possano costituire il linguaggio della moderna architettura, per la creazione di una nuova concezione di spazio e di un diverso rapporto con lo spazio esterno, un architettura che diventi il manifesto rappresentativo della propria epoca, non legata alla soggettività del singolo individuo.
 Gli elementi per costruire il suo linguaggio li trova nella realtà che lo circonda e sono i prodotti del nuovo progresso tecnologico, i nuovi materiali come il vetro e l’acciaio, attraverso cui costruirà, citando Colin Rowe  “una radicale revisione della capacità di concepire lo spazio”. 
Citando ancora Rowe  “Come tutti gli altri sistemi spaziali, quello International Style è il risultato di una rivalutazione delle funzioni attribuite alla colonna, al muro e al tetto….”,  e nello spazio di Mies questi elementi , liberi dai precedenti condizionamenti , sono collocati e posti in modo che siano in grado di  formare tra di loro nuove relazioni.
casa in mattoni, 1931

casa-tugendhat, Brno 1928-30





























 La pianta libera di Mies e L. C. di fatto libera lo spazio dalla presenza di una struttura rigida e quindi lo libera anche da un involucro, in questo modo nei progetti di Mies, lo spazio non ha piu’ confini è uno spazio fluido, dinamico che scorre tra gli elementi e distrugge anche la barriera tra interno ed esterno.
L’equilibrio e l’ordine non sono piu’ dati dalla simmetria, l’ordine diventa un equilibrio asimmetrico, e lo spazio vuoto diventa il materiale della progettazione.
Il concetto tradizionale di facciata, intesa come bucatura di un muro esterno,  scompare e lascia il posto al courtain wall ,che diventa un filtro, un diaframma trasparente attraverso cui contemplare il paesaggio.
In uno scritto del 1920, intitolato  Proun, Lisitskij dichiarava: “ Se il futurismo ha portato lo spettatore all’interno della tela, noi lo abbiamo portato attraverso la tela , nello spazio effettivo, ponendolo al centro della nuova costruzione nell’estensione dello spazio. Oggi, stando nello spazio su queste impalcature, dobbiamo cominciare a caratterizzarlo. Il vuoto, il caos, l'irrazionale divengono spazio, cioè ordine, determinatezza, natura, se introduciamo in esso i segni caratterizzanti di un certo tipo e in proporzione determinata in e tra loro.”
Una delle opere del periodo americano di Mies ,la casa Farnsworth a Plano, nell'Illinois, puo’ leggersi come la trasposizione in architettura di questa nuova percezione di spazio: è un’involucro di cristallo trasparente in cui la struttura, in acciaio verniciato di bianco, costruisce un ritmo che rende  percepibile lo spazio del paesaggio naturale in cui si inserisce.


casa Farnsworth, Illinois

Questa "gabbia di osservazione", come la definisce  R.Bocchi, calata entro il bosco, montata su una piattaforma artificiale, staccata dal terreno (+ 1,65 metri da terra)  è una costruzione intesa a catturare un ordine astratto del paesaggio,"un'impalcatura" , vista da qui la natura, e quindi il mondo che ci circonda, assume un aspetto comprensibile e ordinato.




Analoga riflessione si può fare su altri edifici, come i prismi di cristallo delle torri di Lake Shore Drive a Chicago nei confronti del paesaggio metropolitano e di quello lacustre che le circondano, o per il  Seagram Building  a New York o per la casa Fifty-by-fifty: un prisma vitreo a base quadrata (50x50 metri), coperto da una lastra piana formata da una griglia di cassettoni d'acciaio sorretta da quattro soli pilastri, pure d'acciaio, posti al centro di ciascun lato. La trasparenza raggiunta è così pressoché totale.
Queste architetture diventano strumenti per osservare il paesaggio, luoghi  interni da cui l’uomo si può appropriare della natura, percepirla non solo guardarla.


"La casa Farnsworth - diceva Mies in un'intervista concessa nel 1959 - credo non sia mai stata veramente capita. Io personalmente sono stato in quella casa dalla mattina alla sera. Fino a quel momento non avevo saputo quanto la Natura possa essere piena di colori. Si deve avere l'attenzione di usare toni neutri negli spazi d'interno, proprio perché all'esterno si trova ogni sorta di colore. Questi colori cambiano continuamente e completamente e vorrei dire che questo è semplicemente glorioso".












lunedì 18 gennaio 2016

LA MODERNITA’ COME MONTAGGIO DI FRAMMENTI DI PASSATO E PRESENTE


Parole chiave: rottura del continuum, montaggio, frammento, ri-composizione, complessita’.


"C'è un quadro di Klee che s'intitola 'Angelus Novus'. Vi si trova un angelo che sembra in atto di allontanarsi da qualcosa su cui fissa lo sguardo. Ha gli occhi spalancati, al bocca aperta, le ali distese. L'angelo della storia deve avere questo aspetto. Ha il viso rivolto al passato. Dove ci appare una catena di eventi, egli vede una sola catastrofe, che accumula senza tregua rovine su rovine e le rovescia ai suoi piedi. Egli vorrebbe ben trattenersi, destare i morti e ricomporre l'infranto. Ma una tempesta spira dal paradiso, che si è impigliata nelle sue ali, ed è così forte che egli non può più chiuderle. Questa tempesta lo spinge irresistibilmente nel futuro, a cui volge le spalle, mentre il cumulo delle rovine sale davanti a lui al cielo. Ciò che chiamiamo il progresso, è questa tempesta. "



Per Benjamin ogni rappresentazione del tempo-storia secondo una visione lineare è falsa: è falso, che la storia sia un processo continuo e uniforme nel tempo e  che tale processo sia accrescitivo e progressivo. Al nuovo  si deve essere spinti, invece, dalla visione del passato, fatto di " rovine su rovine "  di frammenti da ri-comporre, che esercitano in chi,(come l' Angelus Novus raffigurato in un acquerello di Paul Klee molto amato da Benjamin), sa voltarsi a guardarlo una spinta irresistibile verso un futuro diverso.

Il suo rapporto con la storia  è un rapporto dialettico, in cui emerge il concetto di rottura, ma anche quello di montaggio e ri-composizione, lo sguardo deve essere attento, ma non ossequioso, deve essere uno sguardo nuovo, che permetta di riflettere senza sottostare a gerarchie già configurate,  e che consenta attraverso associazioni nuove tra passato e presente la costruzione di un nuovo futuro.
Smarrita l’originaria unità, la nostra cultura contemporanea si ritrova oggi immersa  in una attualità fatta di frammenti ,dallo spazio della città,  all’avvento dei nuovi mezzi di comunicazione e rappresentazione , abbiamo di fronte una realtà complessa che richiede la formulazione di nuovi metodi e  atteggiamenti e anche forse una reinvenzione di principi e valori, che però non rimangano immutabili e fissi, ma sappiano trasformarsi e rigenerarsi.

Di particolare interesse sono i tipi di testo che Benjamin usa per l’espressione della sua teoria, i suoi saggi e i suoi scritti  sono lontani da qualsiasi tentativo di un' opera sistematica, mantengono invece una caratteristica di “frammentarietà”: le sue opere sono un “montaggio” di idee, citazioni, che nel modo in cui si compongono o si accostano fanno emergere nuovi significati.
Il metodo ricorda quello delle avanguardie, non solo quello del montaggio cinematografico, ma anche pratiche come cadavre exquis, o l’assemblage, come afferma Argan (in G. C. Argan, L’arte moderna 1770/1970):

“Ciò che determina il valore estetico, dunque, non è più un procedimento tecnico, un lavoro, ma un puro atto mentale, una diversa attitudine nei confronti della realtà.”



In questo diverso atteggiamento nei confronti della realtà e della storia, si colloca a mio avviso  molta parte della produzione  architettonica contemporanea, che cerca un confronto diverso tra nuovo ed esistente, e quindi con la storia.
Prendo ad esempio , la mostra  “Innesti. Il nuovo come metamorfosi, curata da Cino Zucchi per il Padiglione Italia alla 14° Biennale di Architettura (Venezia 21014), in cui è stato affrontato il tema dell’architettura moderna e contemporanea nel confronto con l’esistente, mettendo insieme una serie di progetti sia recenti sia passati,  in maniera non lineare ma discontinua, avvicinando singoli episodi ed eventi progettuali, anche lontani nel tempo,che rimangono legati da relazioni inaspettate.
 “L’architettura italiana dalla prima guerra mondiale a oggi mostra una ‘modernità anomala’, rappresentata dalla grande capacità di interpretare e incorporare gli stati precedenti attraverso metamorfosi continue. Non adattamenti formali a posteriori del nuovo rispetto all’esistente, ma piuttosto ‘innesti’ capaci di trasfigurare le condizioni del contesto in una nuova configurazione…”




In questa trasfigurazione dei contesti  si colloca la nuova spinta verso il futuro che ci consente di riprogettare i nostri spazi e di trasformarli  continuamente in base alle nuove necessità, con un estrema libertà, e con gli atteggiamenti e i metodi più diversi, cambiando sempre le regole del gioco, e creando relazioni sempre più complesse di spazio e tempo, ma sicuramente caratterizzate  da una grande ricchezza.
Riporto a conclusione un frammento di E. Miralles.



1-il primo equivoco è che si possa parlare di nuovo e vecchio.
La forma costruita ha una relazione complessa con il tempo.
Forse abbiamo sperimentato nella nostra casa di Mercaders la sensazione di abitare -una altra volta- gli stessi luoghi,come se vivere un luogo non fosse altro che muoversi tra iltempo ed il luogo. Ciò che è arrivato sino a noi è utile, attuale,contemporaneo.
E permette di tornare indietro nel tempo per poi andare oltre.
2. Altro equivoco è vedere la demolizione come la sola possibilità di soluzione.Al contrario.
Usare e riusare. E’ come pensare e ripensare. E l’architettura non è altro che un modo di riflettere sulla realtà.…..”


 Bibliografia

G. C. Argan, L’arte moderna 1770/1970 Sansoni editore, Firenze, 1970
C. Zucchi, Innesti/grafting,Catalogo 14. Mostra Internazionale di Architettura, Marsilio editore,
                 Venezia 2015

El Croquis n°100-101